I Righeira hanno inventato l’estate! Fenomenologia di un (finto) declino pop

Recensendo l’opera Dialectic of Pop di Agnès Gayraud, il giovane filosofo romano Claudio Kulesko ci ha recentemente ricordato di come, già da diverso tempo, circola sul canale Youtube una serie di video divertenti, incentrati su un improbabile e anacronistico mash-up tra la figura di Theodor W. Adorno e uno dei tanti microgeneri della musica elettronica degli anni post 2000. In questi filmati, uno stralcio di una videointervista realizzata alla fine degli anni ’60 coglie il grande filosofo tedesco intento ad ascoltare un brano musicale proposto dall’intervistatore. Il suo volto infastidito faceva fatica a mascherare un atteggiamento critico e sprezzante nei confronti di ciò che stava sentendo. Nei video citati si è audacemente sostituito la musica realmente ascoltata – a quanto pare l’inno nazionale della Germania dell’Est composta da Hanns Eisler – con un brano vaporwave. L’accostamento ironico e surreale fra uno dei maggiori e sferzanti critici della popular music del Novecento e un’alienante musica sintetica prodotta dall’odierna società tardocapitalistica mi ha indotto a chiedermi, spostando un’immaginaria asticella del tempo agli anni Ottanta, come potesse abbinarsi la stessa faccia stizzita del filosofo con l’ascolto della hit estiva, tutta italiana, LEstate sta finendo dei torinesi Righeira, anno 1985.

In fondo, chi non conosce questa canzone? Anche il più scaltro fra gli osteggiatori della musica mainstream sa canticchiarsi i primi versi del testo. Dirò di più: la hit dei Righeira, ancora adesso a distanza di anni, riesce a catalizzare il «riconoscimento», per usare un termine adorniano, di un folto gruppo di ascoltatori, appartenente a diversissime generazioni.

Adorno avrebbe mantenuto la stessa espressione indignata, è sicuro! Basti rileggere le pagine di sociologia critica dedicate al fenomeno musicale pop, scritte dal filosofo già negli anni Quaranta, e metterle in tensione con le caratteristiche del brano per capire di cosa stiamo parlando. In effetti, LEstate sta finendo racchiude a sé tutti quei caratteri di ‘standardizzazione’ confacenti alla produzione monopolistica di massa dell’industria musicale contro cui Adorno indirizzava le sue feroci critiche. Votata all’easy-listening, imposta dal plugging (ossia la ripetizione senza sosta della canzone dai maggiori canali d’ascolto che siano radio, jukebox o altro in modo da renderla un successo), triviale nel suo essere glamour, ammaliante nel suo utilizzo dei synth e nei break di sassofono, LEstate dei Righiera si parcellizza in tanti piccoli dettagli, astutamente orecchiabili, spudoratamente autocompiaciuti, collettivamente introiettati. Eppoi, il testo: chi non si è mai sentito come il protagonista del racconto, alla fine di un rapporto amoroso e impaurito dal proprio crescere, dal proprio tornare alla vita dopo la beatitudine acerba e spensierata di una stagione estiva?

I Righeira non hanno sbagliato un colpo: partecipano a Un disco per lestate, vincono il Festivalbar, e il loro tormentone torna come un’eco in quest’annus horribilis, diviso tra pandemiche paure e futuribili incertezze. È certo oramai che i Righeira non esistono più. Sparute notizie sparse nel web ci informano che si sono allontanati dalla scena pubblica per godersi al meglio la vita in provincia, lontano dai riflettori del mondo dello spettacolo. Mi piace pensare che i Righeira non siano semplici meteore della ‘canzonetta’ all’italiana, ma abbiano cospirato per poter mantenere i propri stilemi pop nel corso delle stagioni estive. V’immaginate? I Righeira a capo di una setta esoterica antiadorniana, promotori di un pop fulgido e disinibito, a dettar legge sui caratteri proto-capitalistici e standadizzati di tutte le hit degli anni a venire, da Jonavotti ad Alessandra Amoroso coi Boomdabash. In barba all’austero filosofo tedesco, i due musicisti torinesi manipolano la materia musicale fino a farla regredire ad un barbaro ma accattivante passatempo, quasi fossero dei subdoli alchimisti a servizio della società capitalista. Lasciando da parte questi sogni (pop) complottisti, di una cosa sono certo: i Righeira hanno ben compreso che non è l’estate a far suonare il jukebox ma viceversa. La canzone modella cristallizza i caratteri tipici dell’estate. In effetti, se ci pensiamo attentamente, e seguiamo il ragionamento adorniano, anche la stagione estiva, come la pop music, manca di una totalità, di una struttura che la contenga e la definisca al tempo stesso. L’estate è un’astrazione; come la canzone, si frammentizza in una varietà di dettagli, abitudinari e facilmente sostituibili. Gli ombrelloni, gli stabilimenti, la spiaggia, il mare, le ferie sono come dei chorus, dei break, delle ritmiche: possono cambiare i propri colori, le proprie posizioni, le proprie affluenze, le proprie posticipazioni, ma sono lì ad intessere una trama che non esiste, se non nell’idea di un cambiamento climatico che fa presto ad esaurirsi, che ‘sta finendo’ già dall’inizio. Il ciclo cosmico non toglie né aggiunge nulla all’apparato simbolico che l’estate introduce mediante i suoi diversissimi elementi; non basta di certo il caldo a definire un’estate!

Per poterla vivere, quest’estate, bisogna allora attraversare tutti questi dettagli, e perché no, saperli riprodurre. Nei locali di VarcoLabile Piotr Hanzelewicz e Matteo Ludovico, con la collaborazione di Christian Ciampoli e Edoardo Gaudieri, fanno proprio questo (non è che fanno parte della setta dei Righeira!?): ci restituiscono un’estate attraverso una proliferazione di elementi sparsi, di ‘feticci’ che producono a loro volta impressioni, fantasie, nostalgie. Ciascun elemento non è mezzo per catturare il senso dell’estate, ma è il veicolo per un riconoscimento in atto, per un’esperienza collettiva in cui ognuno si riconosce attraverso la cifra socioculturale di questi dettagli. In sintonia con la musica righeiriana, VarcoLabile si trasforma in una melodia estiva, ‘congela’ (è un ossimoro!) degli standard, non concentra ma dilata le tensioni, investe sulla noia, il tempo libero, l’intrattenimento e il divertimento. Ma l’estate è il tempo di una canzone, dura sempre così poco.

Matteo Di Cintio